giovedì 28 Marzo 2024

Un danno per tutti

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Donald Trump non può capire perché è sbagliato uscire dagli accordi di Parigi sul clima. Non può farlo perché appartiene a quella classe imprenditoriale e di potere che ancora vede nella questione ambientale un limite, un problema, un ostacolo alla creazione di ricchezza. Così non è.

Glielo stanno spiegando, tra gli altri, anche molti imprenditori americani, il sindaco di New York e lo Stato della California. Un pezzo di mondo economico americano sta provando a convincere il proprio presidente che il futuro, anche del business, sta proprio nella qualità ambientale e nell’innovazione.

Uscire dall’accordo di Parigi mette a rischio tutti gli abitanti  del pianeta come dimostra il Rapporto di Legambiente “Le città alla sfida del clima” secondo cui solo nelle città italiane sono stati 242 gli eventi metereologici estremi dal 2010 ad oggi che hanno creato danni materiali e vittime. Ecco perché sfilarsi dalla lotta ai mutamenti climatici è criminale tanto quanto continuare a vendere armi alle dittature militari. Un danno per tutti in nome di un profitto che perde di vista l’interesse generale più importante: far sopravvivere la specie umana.

La scelta di Donald Trump avrà molte conseguenze negative ma potrebbe essere anche un’occasione su almeno due fronti: proprio ora l’Europa deve accelerare su questo fronte e conquistare la leadership internazionale sulla green economy guardando ad est, verso il nuovo protagonismo della Cina. In secondo luogo questo passaggio così stretto della Storia potrebbe servire a togliere di mezzo timidezze ed ipocrisie che in questi mesi, dopo gli accordi di Parigi, hanno visto come attori tanti piccoli Donald Trump, anche nostrani. Insomma se un merito lo ha avuto, il presidente degli Stati Uniti d’America più improbabile della storia, è di compattare e fomentare il fronte della lotta ai mutamenti climatici, Merkel in testa.

Anche per l’Italia potrebbe essere un’occasione preziosa: le nostre piccole e medie imprese sono leader internazionali sul know-how tecnologico di rinnovabili ed economia circolare ma di certo non sono “profeta in patria”, non certo per causa loro. Ecco ci piacerebbe fosse anche un’occasione per la Confindustria italiana e il ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda: un’opportunità per smettere di difendere un modello industriale del ‘900 e per capire che l’ambiente deve guidare l’asse di un nuovo piano industriale che porti l’Italia ad uscire da qui al 2050 dall’età dei fossili, così come abbiamo sottoscritto a Parigi. 

 

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