Tutto un altro business

b corp

di FRANCESCO LOIACONO, ha collaborato ELISA MURGESE

C’è un modo migliore di fare impresa, che crea benessere per tutti e non solo profitti. Che cambia il concetto di business e genera impatti positivi verso i dipendenti, le comunità e l’ambiente. È il modello del futuro disegnato dalle B corp, le Benefit corporation, legate in un movimento globale che si sta diffondendo con l’ambizione di rigenerare la società e il pianeta. E con risultati sorprendenti. Sono infatti oltre duemila le B corp nate in cinquanta paesi e in 130 settori, con un fatturato complessivo di 22 miliardi di euro, una media di 11 milioni per impresa. Ma le buone notizie non finiscono qui: in Italia siamo all’avanguardia. In soli quattro anni sono nate ben 46 B corp, si stima che diventeranno 150 nel corso di quest’anno, e siamo l’unico paese, dopo gli Usa, ad avere una legge per le società benefit (vedi box a pag. 29). Numeri che hanno “illuminato” la prima convention nazionale organizzata lo scorso dicembre a Milano. In queste imprese, rispetto a quelle che inseguono solo il profitto, è maggiore la percentuale di donne che ricoprono ruoli manageriali, sono più alti i bonus per i dipendenti, si creano più posti di lavoro, si produce e si acquista più energia rinnovabile, si valutano le performance sociali e ambientali dei fornitori e si fissano precisi obiettivi sociali e ambientali da raggiungere. «È un passaggio epocale – afferma Paolo Di Cesare, cofondatore di Nativa, la prima azienda a diventare B corp in Italia nel 2012, premiata nel 2016 come migliore B corp – Ed è necessario farlo oggi perché la popolazione mondiale e la pressione sull’ambiente sono aumentati tantissimo rispetto a quando, oltre duecento anni fa, è stato inventato il concetto di società privata, definendo l’obiettivo della divisione degli utili ma dimenticando ambiente e persone».

Quella delle B corp è una vera e propria rivoluzione, o evoluzione, dell’economia di marcato, partita negli Usa, che in pochi anni sta conquistando tutti i continenti. Diventare una B corp certificata, però, non è semplice. Bisogna rispettare alti standard e misurare in modo rigoroso e trasparente i propri impatti. Per ottenere la certificazione di B Lab, la no profit americana creata dai fondatori di questo movimento globale, l’azienda deve sottoporsi a un rigoroso protocollo di valutazione: il “Benefit impact assesment”. Se il risultato è un punteggio superiore a 80 su 200 punti si può avviare l’audit per acquisire lo status di “certified B corp”. «Se la valutazione della tua azienda è di 80 punti vuol dire che stai dando alle persone e all’ambiente esattamente quanto stai prendendo in termini di risorse per le tue attività – spiega Di Cesare – Un punteggio superiore a 80 indica che stai restituendo più di quanto prendi. Altrimenti, con un punteggio inferiore a 80, stai distruggendo valore». L’attenzione agli impatti disegna, insomma, un’economia di mercato in cui non si massimizza solo il profitto. «Noi vogliamo esistere nel futuro e sappiamo che le scelte di oggi devono assicurarci l’esistenza fra molti anni – aggiunge Di Cesare – Noi scriviamo che la fondazione di Nativa è nel 2023, ora la stiamo progettando. Sembra un gioco ma in realtà non lo è: facciamo progettazione o starship design, considerando l’azienda come un’astronave, cioè un sistema chiuso per la materia e aperto per l’energia. Quale astronauta può fare un prodotto o generare un servizio che genera rifiuti o impatti sull’astronave? Ecco, noi diciamo alle aziende chedevono vivere in questo contesto e devono riconcepire il modo in cui inventano i prodotti e i servizi, con obiettivi di sostenibilità a prova di futuro». E sono in molti ormai in Italia a seguire questo esempio.

C’è chi da anni investe per abbattere i propri impatti e trova naturale diventare una B corp, come la Fratelli Damiano di Messina, l’azienda più grande al mondo per la lavorazione di mandorle bio (3.000 tonnellate l’anno, 12.000 metri quadrati di stabilimenti, 60 dipendenti e 500 agricoltori-fornitori). «Quando abbiamo scoperto le realtà B corp, ci siamo riconosciuti nei loro valori, rendendoci conto che molti dei loro parametri li rispettavamo già – racconta Mariateresa Licata, responsabile marketing e vendite – Utilizziamo energia solare, facciamo il recupero delle acque, ricicliamo tutti i materiali e usiamo gli scarti come nutrimento per gli animali. In altre parole, non produciamo spazzatura. Inoltre abbiamo un ottimo rapporto con i dipendenti: facciamo microcredito senza interessi, paghiamo le tasse universitarie ai loro figli e forniamo assistenza anche ai loro familiari. Vogliamo che lavorare da noi sia una tradizione che passi di padre in figlio».
È proiettata nel futuro la D-Orbit, azienda lombarda che dal 2011 si occupa di recupero di materiali nello spazio, con dispositivi che permettono di rimuovere satelliti a fine vita, senza lasciarli inutilmente in orbita. «Il nostro obiettivo è portare il concetto di sostenibilità nello spazio – afferma Monica Valli, ingegnere aerospaziale – È una risorsa, proprio come terra, acqua e aria. Per questo abbiamo deciso di fare scelte sostenibili nella gestione del personale, nell’uso dei materiali come nello smaltimento dei rifiuti, nella selezione dei fornitori, i cui propellenti non devono contribuire a rilasciare particelle nello spazio». Le B corp possono nascere in ogni settore, anche in quello ricettivo. A Roma l’hotel a quattro stelle superior “Church Palace” nel 2014 ha cambiato proprietà e da soli nove mesi è diventato una benefit corporation. «Come tuttele aziende abbiamo un profitto da raggiungere, ma essere B corp non ci penalizza, anzi: attiriamo una nuova fascia di clientela e al guadagno materiale se ne aggiunge uno morale», racconta Daniele Santaniello, direttore operativo della struttura che sta riprogettando la sua efficienza energetica: dall’illuminazione alle utenze, senza dimenticare l’importanza dei fornitori, tutti a chilometro zero. I dipendenti sono coinvolti in corsi di formazione e sensibilizzazione, anche sugli sprechi. «Secondo mio nonno Carlo, figlio del fondatore della nostra azienda, noi eravamo già B corp prima di sapere cosa volesse dire questa sigla», racconta Claudia Carli, brand marketing manager della Fratelli Carli, un’azienda che produce olio extravergine d’oliva a Imperia dal 1911. «Da sportiva dico che il talento ti fa raggiungere facilmente un traguardo ma quello che fa la differenza è l’allenamento – aggiunge – Da qualche anno analizziamo i nostri valori per capire quali punti migliorare e con i fornitori abbiamo messo a punto dei codici sottoscritti che segnalano gli obiettivi di sostenibilità. Questo è un modo di fare business che ci sta aiutando tantissimo».
Con Treedom la sostenibilità ha radici forti. La B corp fiorentina fa e-commerce di alberi da piantumare e supporta progetti di riforestazione in Sudamerica, Africa e Italia. «Chi compra un albero da noi sceglie dove piantarlo e con la geolocalizzazione può seguire la sua crescita accedendo al proprio profilo su Treedom, che segnala anche quanta CO2 è stata catturata – spiega Raffaella Amoroso, digital specialist di Treedom – Da quando siamo nati, nel 2010, sono stati piantati ben 280mila alberi. E non possiamo che continuare a crescere». Un’impresa di successo che esporta cosmetica naturale in più di quaranta paesi: Herbatint è il marchio di Antica Erboristeria specializzato in prodotti di colorazione senza ammoniaca e per la cura dei capelli. «Siamo attenti all’imballaggio, la nostra è l’unica colorazione testata su pelle sensibile senza alcol, profumo, parabeni e ci stiamo trasferendo nel nuovo stabilimento a nord di Roma alimentato ad energia solare – afferma Serena Stoppoloni, direttore marketing e vendite – Investiamo anche sui dipendenti: il 50% è costituito da donne e abbiamo lavoratori di diverse nazionalità, soprattutto afgani e bengalesi. Investiamo nella sostenibilità per avere un impatto positivo anche sulla società. Ci sentiamo tra i precursori ma questo è solo l’inizio perché in Italia il terreno è fertile ». E i numeri, visto che sempre di economia si parla, anche se civile, sembrano darle ragione.

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