martedì 16 Aprile 2024

Soluzioni antropiche

Ho scritto Soil not oil nel 2008, prima del vertice di Copenaghen. In un’epoca in cui le relazioni fra clima e agricoltura non erano ancora considerate in nessuna conferenza, e nemmeno durante i vertici sui cambiamenti climatici, come non erano considerate dal movimento per il clima. Ancora oggi, mentre ci dirigiamo verso la  Cop21, a Parigi, le multinazionali dell’agricoltura  stanno tentando di dirottare i negoziati sul clima a loro vantaggio. Siamo di fronte a due crisi planetarie: il cambiamento climatico e l’estinzione di specie. I nostri attuali modelli di produzione e di consumo hanno contribuito a entrambe queste crisi. Gli scienziati che hanno studiato il cambiamento climatico definiscono le emissioni responsabili del cambiamento “emissioni antropiche”, provenienti cioè da attività umane. Se non si interviene per ridurre l’effetto serra sperimenteremo un catastrofico aumento della temperatura di +4 °C entro la fine del secolo. Ma il cambiamento climatico non è solo riscaldamento globale. Siamo arrivati a un’intensificazione di fenomeni quali siccità, inondazioni, cicloni.

Gli eventi meteorologici estremi stanno già costando la vita a molti, come per esempio abbiamo visto nelle inondazioni nello Uttaranchal (Stato dell’India settentrionale, ndt) del 2013, “costate” ventimila vittime. Ma che cosa possiamo fare per iniziare almeno a ridurre questa situazione? Come il problema, la soluzione deve essere di origine antropica. La diffusione delle monocolture, l’uso crescente di fertilizzanti chimici in agricoltura e la distruzione degli habitat hanno contribuito alla perdita di biodiversità. Quella biodiversità che invece avrebbe aiutato a ridurre i gas serra. Nel 1996, quattro anni dopo la conferenza della Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile di Rio, quella di Lipsia sulle risorse fitogenetiche ha valutato che il 75% della biodiversità del mondo era scomparso in agricoltura a causa della Rivoluzione verde e dell’agricoltura industriale. La Fao stima addirittura che  il 90% della deforestazione globale è dovuta alla agricoltura industriale, che spinge sulle monocolture da coltivare per l’esportazione, non per il cibo. L’agricoltura chimica e il sistema alimentare globalizzato sono responsabili del 40% di tutte le emissioni. Le monocolture chimiche sono inoltre più vulnerabili in un ambiente con clima instabile.

Secondo il rapporto dell’organizzazione no profit Grain.org, “l’attuale sistema alimentare globale, azionato da una sempre più potente industria alimentare transnazionale, è responsabile di circa la metà di tutte le emissioni di gas prodotte dal lavoro umano”. Coltivare per il profitto di una società, e non per le persone, non è una strategia di mitigazione. Mentre un paese dopo l’altro vieta l’uso degli ogm, l’India si è trasformata nell’ultimo campo di battaglia per i profitti dei brevetti biotech. La tecnologia Bt della Monsanto, dopo milioni di dollari di ricerca e sviluppo pagati dai coltivatori di cotone indiani, si è rivelato un fallimento in termini di resa delle culture e della lotta ai parassiti. Anche il “Cropscience Oberon”, pesticida della Bayer per sconfiggere la mosca bianca, ha fallito, per giunta danneggiando il 60% del raccolto di quest’anno nel Punjab. I prodotti chimici hanno fallito. Gli ogm hanno fallito. Il nostro governo ha fallito.

L’adattamento ai cambiamenti climatici richiede diversità di reazione a tutti i livelli. I sistemi ecologici che mantengono la loro biodiversità sono più resistenti al cambiamento climatico e i più produttivi in termini di nutrizione per ettaro di terra. Nutrire il mondo non vuol dire raccogliere prodotti su cui negoziare il costo da spedire in un altro continente, aggiungendo così altre emissioni. Cosa si deve fare è chiaro: riduzione delle emissioni e strategie di adattamento. Dobbiamo allontanarci dall’impostazione industriale dell’agricoltura e da un sistema centralizzato che aggrava le emissioni. La conservazione della biodiversità è fondamentale per l’adattamento. Abbiamo bisogno di un passaggio a pratiche agroecologiche, che conservino la biodiversità e garantiscano la biosicurezza.

(Traduzione di Stefania Marchitelli)

Iscriviti ora a

per ricevere le newsletter

Articoli correlati

SEGUICI SUI SOCIAL

GLI ULTIMI ARTICOLI

Gli ultimi articoli