La svolta verso le rinnovabili era in atto già prima della Cop21. Oggi rappresentano oltre il 20% della generazione elettrica mondiale e nel 2040, secondo il World energy outlook dell’International energy agency (Iea), si potrebbe assistere al sorpasso sul carbone. Resta da capire come si comporteranno i diversi paesi e quali diventeranno egemoni in questo processo». La pensa così Alessandro Lanza, docente di Economia dell’energia all’università di Milano, già chief economist di Eni e Enea, fra i massimi esperti in campo energetico e climatico (è stato Principal administrator dell’Iea e ha partecipato all’estensione del terzo e quinto rapporto dell’Ipcc), oggi presidente di Sotacarbo, la società che guida il progetto di ricerca sul Carbon capture e storage presso il Polo tecnologico del Sulcis in Sardegna.
Anche l’Italia ora dovrà fare sul serio, mettendo in campo una politica energetica low carbon che regga il passo con i trend globali.
Ma l’Italia ha già fatto sul serio, almeno nell’ultimo decennio, varando i conti energia che hanno cambiato la faccia del settore elettrico. Sono le grandi aziende come Enel ed Eni ad averci creduto troppo tardi e ora cercano di recuperare terreno. Certo, la linea politica non è sempre stata coerente, abbiamo vissuto stagioni in cui a una Strategia energetica se n’è sostituita un’altra in direzione diversa, basti pensare all’innamoramento per il nucleare prima di Fukushima. Se quella scelta non fosse stata fermata oggi ci ritroveremmo nel mezzo di forti investimenti con una crisi economica sulle spalle e senza ancora produrre un solo kWh di elettricità.
Il prezzo del petrolio è in caduta libera, a breve anche il greggio dell’Iran arriverà sui mercati. Quali contraccolpi ci saranno per le rinnovabili?
Il greggio procedeva tranquillo sui 110 dollari al barile nel 2014, poi la domanda è scesa anche perché la Cina ha rallentato la propria crescita. Si tratta di un settore con margini d’ampliamento contenuti visto che il fabbisogno mondiale è di circa 90 milioni di barili al giorno e l’incremento di circa 1 milione di barili al giorno ogni anno, diciamo nell’ordine dell’1,5%. Inoltre al calo della domanda non ha corrisposto una diminuzione dell’offerta: Arabia Saudita e Russia hanno preferito mantenere inalterata la produzione per mettere fuori mercato sia le estrazioni non convenzionali, come lo shale oil negli Usa, sia quelle di competitor che si riaffacciavano sul mercato del greggio, cioè Teheran, che così viene scoraggiata a nuovi investimenti. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, col barile a 28 dollari e la prospettiva che produrre energia elettrica da fonti fossili diventi più conveniente rispetto alle rinnovabili. In Italia quest’ultime non sono però in competizione con le prime poiché non vanno in Borsa e godono della priorità di dispacciamento. Se il prezzo di elettricità da carbone e gas si riduce non c’è una conseguenza diretta sulla competitività di solare o eolico. Il ragionamento potrebbe mutare nel medio periodo se il punto della grid parity dovesse spostarsi in avanti.
Che risultati vi aspettate dalla sperimentazione sul sequestro di carbonio nel Sulcis?
La nostra è una sperimentazione di ricerca pura. Stiamo completando lo studio del bacino per comprenderne le caratteristiche geologiche senza alcun fine propedeutico rispetto alla localizzazione in questo territorio di un sito per lo stoccaggio di CO2. Partecipiamo a una sperimentazione internazionale sul tema del carbon storage utilizzando gallerie già esistenti, che qui non mancano. L’obiettivo è capire come il carbonio si possa catturare e riciclare affidando al confinamento un ruolo residuo. Ci aspettiamo una grande attenzione sul nostro prossimo passo: la costruzione di un laboratorio sotterraneo con dimensioni e caratteristiche uniche in tutta Europa. Per fare ricerca da condividere col resto del mondo.