Un sito web con tanto di newsletter e profili social, il passaparola sul territorio. E la ferma intenzione di portare con forza tra i cittadini e sui media nazionali, anche quelli più riluttanti, la battaglia referendaria. È cominciato ieri il cammino del comitato “Vota sì per fermare le trivelle” cui aderiscono circa novanta fra associazioni, gruppi, riviste, imprese, enti locali. Trentanove giorni prima del fatidico 17 aprile che porterà gli italiani alle urne per decidere sul futuro degli impianti d’estrazione già attivi all’interno delle 12 miglia. Qualora il fronte del “sì” non dovesse prevalere, le ricerche intensive e le attività petrolifere già in corso potrebbero proseguire senza limiti di tempo, a piacimento delle compagnie, fino all’ultima goccia. In caso di vittoria, invece, le concessioni si concluderebbero allo scadere dei contratti, i posti di lavoro si ricollocherebbero come previsto in altre direzioni. Coerentemente con la transizione energetica già in corso nel nostro paese verso le rinnovabili e l’efficienza.
L’assemblea (che si è tenuta nella sede di Legambiente dentro villa Ada ma la segreteria operativa è già all’opera in Via Po, 25/c a Roma, presso la sede nazionale del Wwf) ha visto la partecipazione di circa sessanta organizzazioni. E fra i temi più gettonati proprio la comunicazione: «Prima di tutto bisogna far sapere agli elettori che si terrà il referendum, il problema principale è questo – sono state le parole di Stefano Iannillo, del Comitato illustrando il sito del comitato pubblicato proprio nelle stesse ore – Poi entreremo nel merito della campagna con i nostri argomenti».
La questione, in effetti, sta proprio qui: il governo ha rifiutato l’election day concedendo appena 45 giorni al fronte referendario per spiegare le proprie ragioni, peraltro con la Pasqua di mezzo, attaccando non solo il mare e le coste ma anche il normale esercizio della democrazia e del diritto di voto. I tempi perciò sono stretti e diventa essenziale mettere insieme idee e strumenti per ripetere il mix che fu decisivo durante la consultazione di cinque anni fa su acqua pubblica e nucleare: l’effetto virale dei social ma anche il “corpo a corpo” delle mobilitazioni in piazza fra banchetti e flash-mob, il volantinaggio e l’attività di ufficio stampa. Più l’utilizzo degli spazi, pochi ma essenziali, che mette a disposizione il servizio pubblico.
Sullo sfondo della sala si proietta il simbolo del comitato, che viaggerà parallelamente a quello presentato poche ore prima dall’altra componente del fronte referendario, le nove Regioni promotrici che hanno lanciato il proprio appello con un’affollatissima conferenza stampa alla Camera. Intervengono gli esponenti delle diverse organizzazioni, da Greenpeace a Fare Verde, dall’Arci a Slow Food, da Banca Etica alla Uisp, da A Sud alla Fima. Ma anche esponenti di sigle non specificamente ambientaliste come la Fiom, la Rsu AlmaViva, Rete della conoscenza, Rete degli studenti medi e Unione universitari, il Cospe. Emerge la preoccupazione per la posizione che assume nelle stesse ore dalle pagine dell’Unità il responsabile dei chimici della Cgil, Emilio Miceli. Si riflette su come spiegare che dietro questa partita c’è un cambio di modello energetico che produce già oggi nuovi posti di lavoro, poi giunge la notizia che la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili altri due quesiti pendenti: è la conferma che si va al voto, senza ulteriori sorprese, fra sette settimane. E in calendario si fissano già due appuntamenti: il 17 marzo con una prima giornata nazionale di mobilitazione, poi l’8, 9 e 10 aprile con altre iniziative sui territori. In mezzo tanto attivismo e la richiesta di fondi per dare corpo, oltre che anima, a questa impresa.