giovedì 18 Aprile 2024

Ecco il Soil Day

Oggi a Milano è Soil day: il CRCS (Centro di Ricerche sul Consumo di Suolo di INU, Legambiente e Politecnico di Milano) e ISPRA presentano 3 rapporti che fotografano la situazione attuale del consumo di suolo a livello regionale, nazionale ed europeo: una presentazione congiunta che ha la sua ragion d’essere nel fatto che il problema non conosce confini amministrativi, ma opera sotto la spinta di dinamiche economiche e finanziarie presenti in tutte le regioni e i Paesi europei.

Nonostante la crisi delle costruzioni e lo stop alle grandi infrastrutture causato da evidenti difficoltà di finanziamento, in Lombardia, la regione italiana che ha consumato più suolo, il fenomeno procede, anche se rallentato: dal 2012 al 2015 sono infatti scomparsi quasi 1.000 ettari di suolo regionale all’anno, coperti da urbanizzazioni e strade. Una perdita che danneggia in primo luogo l’agricoltura, che ha visto perdere ogni anno 2.500 ettari per l’effetto combinato di urbanizzazione e abbandono . Se l’abbandono riguarda suoli marginali e poco fertili, le urbanizzazioni cancellano suoli di alto valore produttivo, colpendo al cuore il patrimonio agricolo lombardo. L’ultima revisione di DUSAF, il database di Regione Lombardia che misura i cambiamenti d’uso del suolo, colloca al 15% la quota di territorio regionale urbanizzato (era il 12,6% nel 1999), per oltre 349.000 ettari – come dire le province di Pavia e Lodi messe insieme- oggi coperti da edifici e infrastrutture. Allo stesso tempo le terre agricole sono calate, dal 1999, dal 45% al 43% delle superfici regionali. Complessivamente il suolo continua a scomparire, anche se a ritmi contenuti: prima della crisi, dal 1999 al 2007, i dati indicavano infatti consumi di suolo annui più che tripli rispetto al dato attuale.

Agli approfondimenti e al confronto tra le singole regioni è dedicato quest’anno il rapporto di ISPRA, che mostra come il consumo di suolo, pur con diverse accentuazioni, sia un male comune a tutte le regioni italiane. Nel Nord Italia le regioni apparentemente corrono ai ripari: Lombardia, Toscana, Friuli V.G. e Veneto hanno promulgato leggi che perseguono la riduzione del consumo di suolo, l’Emilia Romagna sta facendo altrettanto. Ma scorrendo i contenuti di queste norme si verifica la loro inefficacia nel breve e medio periodo: esse non mettono in discussione le previsioni gonfiate dei piani urbanistici comunali, si limitano a prospettare riduzioni per i futuri piani. La Lombardia si è rivelata particolarmente creativa, avendo approvato una recente modifica per stabilire che non solo si conservano le previsioni urbanistiche ma che, ove queste non si realizzassero, si può anche decidere di ‘spostarne’ le facoltà edificatorie su nuove aree agricole più propizie ad investimenti immobiliari!

“Ciò che non funziona sono le definizioni di cosa debba essere il consumo di suolo: in assenza di norme di riferimento, ogni regione ha interpretato questo concetto a modo suo, e sempre dichiarando già ‘consumati’ suoli che allo stato non lo sono, perchè gravati da previsioni urbanistiche non realizzate – dichiara Andrea Arcidiacono, docente del Politecnico di Milano e vicepresidente di INU – insomma la sensazione è che le regioni, nel legiferare sul consumo di suolo, abbiano prestato eccessiva attenzione alle sollecitazioni di  grandi soggetti finanziari, preoccupati di perdere asset in termini di terreni solo virtualmente edificabili, ma su cui la crisi aveva svelato la mancanza di concrete possibilità attuative”

In sostanza, è la denuncia di Legambiente e INU, le leggi regionali nel centro-nord Italia hanno usato il pretesto del consumo di suolo per ‘cristallizzare’ diritti edificatori aleatori, ma patrimonializzati ‘sulla carta’, a prescindere dalla reale domanda di mercato: una bolla finanziaria e immobiliare mantenuta artificialmente in vita proprio dalle norme che dovrebbero contrastare gli attacchi speculativi al suolo.

E l’Italia? “Anche in Italia da oltre 400 giorni la legge sul suolo è parcheggiata al Senato: eppure è ormai chiaro che fermare il dilagare delle urbanizzazioni è indispensabile per far partire l’economia della rigenerazione del tanto patrimonio urbano già esistente ma sottoutilizzato e comunque bisognoso di rivitalizzazione. Con un suolo senza tutele, l’uscita dalla crisi produrrà inesorabilmente nuove alluvioni di cemento!” denuncia Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente.

Ma sbaglierebbe chi pensasse che consumo e degrado del suolo siano mali esclusivi della penisola italiana. E’ vero che l’Italia ne soffre più di altri, per la sua orografia e la densità di popolazione e infrastrutture nelle limitate aree di pianura e costiere, oltre che per le sue vocazioni agroalimentari e turistiche. Ma lo stato dei suoli è ragione di grandi preoccupazioni nella comunità scientifica e in organismi mondiali come le Nazioni Unite, sebbene il dibattito tardi a trasferirsi ai tavoli delle decisioni politiche, anche nell’Europa che è stata culla del diritto ambientale. Non solo in Europa manca una direttiva sui suoli, ma, come rileva il rapporto di CRCS,  anche in ciascuno degli Stati Membri le norme, se ci sono, risultano frammentarie ed incoerenti: ogni Stato fa da sé, o più spesso non fa nulla, mancando una cornice di richiamo vincolante alla tutela della più preziosa risorse naturale dell’UE.

Il paradosso è che l’UE spende quasi il 40% del suo budget sulla Politica Agricola Comunitaria ma lo fa senza preoccuparsi di preservare i suoli agricoli su cui quella politica ricade. Fino ad oggi il consumo di suoli ha divorato quasi 19 milioni di ettari in tutta Europa, come dire il doppio dell’Ungheria, raddoppiando in un cinquantennio le aree urbanizzate. E’ vero che l’UE ha definito con una road map un obiettivo ‘zero consumo di suolo’ entro il 2050, ma non ha sviluppato strumenti regolativi, tanto che le previsioni elaborate dal JRC (Centro comune di Ricerca della CE) pronosticano per quella data la cementificazione di altri 3,2 milioni di ettari (come la superficie agricola dell’intera Pianura Padana) con una perdita a carico prima di tutto dei seminativi, di cui si prevede un calo di ben 11 milioni di ettari. Una enormità, considerato che nei 100 milioni di ettari di campi europei si producono materie prime sufficienti a coprire solo il 50% del fabbisogno interno di commodity agroalimentari e mangimi: l’Europa dunque già oggi si nutre utilizzando terreni agricoli di altri continenti, in gran parte da Paesi più poveri (principalmente America Latina) che, presto o tardi, potrebbero legittimamente reclamarli per soddisfare i bisogni della propria popolazione. Il consumo di suolo è solo una – sicuramente la più grave e irreversibile – delle minacce e delle forme di degrado di cui soffrono i suoli europei. Esso si somma all’erosione, che rappresenta uno dei maggiori fattori di pressione nei paesi del Sud Europa, così come alla perdita di sostanza organica che, unita alle sempre più frequenti siccità, rappresenta l’anticamera della desertificazione che già affligge la penisola iberica e le grandi isole mediterranee, e alla contaminazione legata alla presenza, in tutta Europa, di ben 3 milioni di siti su cui si riscontrano concentrazioni allarmanti di sostanze chimiche nocive, oltre ai fenomeni di inquinamento diffuso legato in particolare all’impiego di sostanze chimiche in agricoltura.

Il rapporto 2017 del CRCS restituisce la fotografia delle minacce sui suoli europei, basata sull’analisi di elaborazioni della Commissione Europea, e l’immagine è quella di un continente che rischia di arrivare impreparato alle sfide imposte dal cambiamento climatico. Se da un lato è proprio lo sfruttamento eccessivo a costituire una fonte di emissioni climalteranti, le minacce che affliggono i suoli, impoverendoli o cancellandoli sotto il cemento rappresentano una grave insidia per la sicurezza dei cittadini europei: sia per la accresciuta vulnerabilità ai fenomeni meteorologici estremi, sia per la perdita di superfici dedicate alla produzione di cibo. In questo quadro preoccupante pesa la mancanza di una direttiva europea per il suolo.

“Sul suolo l’Europa rischia di pagare un conto molto salato alla propria inerzia – dichiara Damiano Di Simine, promotore della petizione europea People4soil – la mancanza di una direttiva impedisce di sviluppare strategie efficaci e vincolanti per gli Stati membri: in quasi tutti i Paesi manca infatti una disciplina per contenere il consumo e il degrado del suolo e, dove le leggi esistono, i criteri adottati sono discrezionali e non consentono di sviluppare efficaci sistemi di monitoraggio e controllo delle trasformazioni: per questo chiediamo ai cittadini di prendere l’iniziativa di sollecitare la politica europea, con la petizione europea People4soil che, in Italia, può essere firmata sul sito www.salvailsuolo.it

 

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