Megalò, l’ecomostro raddoppia

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In Italia è forse l’unico centro commerciale “con l’argine”. Vere e proprie dighe, alte quasi 11 metri, che circondano l’immensa superficie di 35 ettari di Megalò: il più grande ipermercato d’Abruzzo. Una barricata necessaria a proteggere la zona da eventuali straripamenti del vicino fiume Pescara. Lo dimostra l’esondazione del 18 gennaio scorso, causata da abbondanti piogge e nevicate, che ha portato addirittura alla chiusura dell’ospedale. «Questi allagamenti raccontano della fragilità del fiume – continua Di Marco, presidente di Legambiente Abruzzo – Un pericolo che non può che aumentare andando avanti a realizzare opere accanto al bacino fluviale. Siamo di fronte a un disastro annunciato, perché vogliono continuare a cementificare». È pronto, infatti, il progetto di Megalò 2, un secondo centro commerciale che dovrebbe aggiungere altri sette edifici (per un totale di 30.000 metri quadri) ai 110 negozi e 2.800 posti auto già realizzati nel 2005 con la nascita del primo Megalò fra i comuni di Chieti e Cepagatti. «Un’opera sbagliata e dannosa – insiste Di Marco – anche e soprattutto per l’incolumità delle persone».
Il problema è che Megalò, colosso dello shopping talmente grande da essere visibile a chilometri di distanza, è stato costruito ad appena 150 metri dall’argine del fiume Pescara, «dove non si sarebbe dovuto costruire – precisa il presidente di Legambiente Abruzzo – trattandosi di un’area ad alta pericolosità idrogeologica». In poche parole, l’ipermercato è posto su una “vasca” di espansione naturale del fiume, che serviva a ridurre il rischio di esondazione. Le conseguenze si sono viste pochi anni dopo, quando nel 2013 un’alluvione ha costretto il sindaco di Chieti a firmare un’ordinanza di sgombero di Megalò: «I parcheggi erano allagati, l’acqua del fiume era arrivata a lambire la diga costruita attorno all’ipermercato», racconta Nicoletta Di Francesco, fra i trenta attivisti del Wwf Chieti-Pescara. Il paradosso è che l’opera, con il placet delle amministrazioni, è stata realizzata nell’ambito del Programma di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio, motivo per cui, riprende Di Marco, «non è stata neppure sottoposta ad alcuna valutazione di impatto ambientale». Eppure i rischi che ha portato nel territorio sono evidenti. «Il danno poi non sembra volersi arrestare – dice la militante del Wwf – tanto che, invece di scegliere di delocalizzare il centro, è stata programmata la realizzazione di vasche di espansione artificiali per ridurre il rischio di piena, un’opera che costerà più di 54 milioni di euro, finanziati dal governo».
Eppure, nonostante la realizzazione di Megalò stia viaggiando di pari passo con la messa in sicurezza del fiume Pescara, non sembra fermarsi il progetto di raddoppiare l’area da adibire alla grande distribuzione. Uno spettro, quello di Megalò 2, che sarebbe capace di dare il colpo di grazia alle piccole e medie aziende di Chieti e Pescara. «Già sappiamo come andrà a finire – spiegano il segretario regionale e il delegato al commercio di Confartigianato, Daniele Giangiulli e Massimiliano Pisani – Megalò 2 sarà l’ennesimo regno delle multinazionali, che nulla hanno a che fare con la nostra regione. Saranno persi centinaia di posti di lavoro e scompariranno le piccole e meravigliose aziende artigiane che da sempre caratterizzano il nostro territorio».
Non è certo un caso che dall’apertura del colosso dello shopping a Chieti stanno chiudendo sempre più negozi. «La verità – chiosa il presidente di Legambiente Abruzzo – è che la nostra regione non ha la capacità di resistere alle speculazioni edilizie».

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