Lesbo, il freddo non ferma gli sbarchi

Foto di Caterina Amicucci
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Anche oggi, nonostante le temperature invernali e il mare gelido, continuano a sbarcare nell’isola greca Lesbo tra le mille e le duemila persone al giorno. La maggior parte sono siriani, iracheni e afghani. La storia dell’isola di Lesbo sembra indissolubilmente legata a quella dei rifugiati in fuga dalle guerre e dalle pulizie etniche. Fino al 1922 una parte dell’Anatolia apparteneva alla Grecia. L’avanzata dell’armata di Ataturk e la conquista della città di Smirne, data alle fiamme e interamente distrutta, costrinse un milione e mezzo di persone cresciute in Anatolia ad andarsene in Grecia. Molti scelsero la via del mare e approdarono a Lesbo dove esiste già un museo dei rifugiati. Quasi cento anni dopo la storia sembra ripetersi. Nel 2015 circa 850mila rifugiati sono arrivati in Europa passando per la Grecia e l’isola è stato il principale approdo di una massa umana in fuga dalla guerra. Le persone in fuga arrivano con dei gommoni dotati di piccoli motori fuoribordo sui quali i trafficanti stipano fino a 50 persone. L’imbarcazione viene poi affidata, in cambio di uno sconto, ad uno dei rifugiati che ha il compito di raggiungere la costa greca. Il costo della traversata varia tra i mille e i duemila euro. Un giro d’affari enorme. L’Europol ha stimato che nel 2015 il traffico di rifugiati e migranti nel Mediterraneo ha fruttato tra i 3 e i 5 miliardi di euro.

Foto di Caterina Amicucci
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Incidenti e naufragi sono all’ordine del giorno, solo nel mese di gennaio le vittime in quel piccolo braccio di Egeo sono già 260, molti dei quali bambini. È quasi un anno che a Lesbo il flusso di migranti si è intensificato in maniera inarrestabile. Sarebbe difficile per qualsiasi paese europeo gestire un fenome migratorio di queste proporzioni, lo è a maggior ragione per un’isola che vive principalmente di turismo, in una Grecia castigata dai tagli alla spesa pubblica imposti dalle politiche europee di austerità. È in questo contesto che la scorsa estate molti turisti si sono trasformati spontaneamente in operatori umanitari dando il via ad un movimento internazionale di volontari che negli ultimi mesi ha costruito un’incredibile esperienza di accoglienza e solidarietà. Attraverso il passaparola, i social network e complice l’emozione suscitata dalla famosa foto del piccolo Aylan kurdi che ha fatto il giro del mondo, sono migliaia le persone accorse a Lesbo e nelle vicine isole di Chios, Samos e Leros.

Foto di Caterina Amicucci
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Si tratta soprattutto di volontari indipendenti, collettivi o piccole associazioni di scopo attorno ai quali si è strutturato un vero e proprio meccanismo autogestito di risposta all’emergenza. L’ Acnur (l’Alto Commissario per le Nazioni Unite) è presente solo dallo scorso ottobre senza un vero e proprio mandato per gestire il sistema di accoglienza sull’isola. Sono le persone comuni, gli attivisti, i pescatori, i pompieri volontari, i discendenti dei greci dell’Anatolia, che nei mesi scorsi hanno fatto la differenza nel salvare vite umane e rendere meno miserabile il viaggio della speranza di migliaia di persone in fuga dalla guerra. Sulle spiagge si allestiscono presidi per accogliere le barche in arrivo. Si cerca di garantire un approdo sicuro e prevenire incidenti. Si distribuiscono coperte, bevande calde, vestiti asciutti. L’80 % delle persone che arrivano sono affette da disturbo da stress post-traumatico a causa delle diverse esperienze vissute dal conflitto al precario viaggio in mare, ed anche il calore offerto dai volontari fa la sua parte. Tantissimi bambini ma anche molte persone anziane, le più provate e disorientate. Qualcuno ogni tanto chiede se effettivamente si trova in Grecia e perchè tutti parlino inglese. La risposta a volte li lascia a bocca aperta. Peter, un volontario tedesco, ha raccontato che nel suo paese di cinquemila abitanti sono arrivati cinquecento rifugiati che erano passati per Lesbo e gli hanno detto che doveva assolutamente andare a dare una mano sull’isola. E lui ha eseguito.

Foto di Caterina Amicucci
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Una volta a terra vengono trasferiti con degli autobus presso il centro di registrazione di Moria accanto al quale è nato un vero e proprio campo di transito autogestito attivo 24 ore su 24: si prepara e distribuisce cibo, bevande calde, scarpe, vestiti, tende, coperte. Si organizzano giochi per bambini. In un caos organizzato si riesce a rispondere alle esigenze di base di centinaia di persone al giorno e nei momenti di calma, e lingua permettendo, si raccolgono decine di storie. La famiglia che ha passato tre anni in Turchia aspettando che la guerra finisse ma ha perso le speranze. Chi è scappato da Raqqa, la città in mano allo Stato Islamico perchè rifiuta di obbedire alle sue regole oscurantiste. L’afghano che ha collaborato con gli americani e adesso è abbandonato e “fregato”. Tantissimi i ragazzi siriani che scappano per non andare a combattere.
Negli ultimi giorni la situazione sta decisamente cambiando, Frontex e le autorità greche vogliono riprendere lentamente in mano la situazione con l’obiettivo di riportare il lavoro dei volontari nell’ambito di istituzioni o organizzazioni formalmente riconosciute.
È difficile prevedere come evolverà la situazione nelle prossime settimane ma una cosa è certa: in questi mesi Lesbo è stato un bellissimo laboratorio sociale e di solidarietà.

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