giovedì 18 Aprile 2024

Il Dna racconta

world_map_of_y-dna_haplogroups

La naturale attitudine delle popolazioni a spostarsi lungo il territorio ha favorito e caratterizzato fin dagli albori la storia dell’essere umano, segnata da flussi migratori che hanno contribuito a creare l’identità della società mondiale e che hanno influenzato, in modo più o meno permanente, lo sviluppo civile e demografico. Le informazioni su questi spostamenti sono state raccolte grazie alle più recenti ricerche scientifiche, attraverso le quali è stato possibile ripercorrere la linea tracciata nel tempo e nello spazio dalle comunità. Centrale in questo studio è stato il ruolo dell’acido desossiribonucleico, più conosciuto come Dna: una molecola lunga circa un metro, ripiegata su se stessa e contenuta in una cellula centomila volte più piccola del filamento stesso. Composto da una successione di quattro lettere, A, T, G, C, nel Dna sono contenute le caratteristiche ereditarie – passate dai genitori ai figli – che permettono di distinguere fra loro gli individui e conseguentemente i discendenti di una stessa progènie. Come piccole caselle messe in successione, i geni costituiscono le unità fondamentali dell’acido desossiribonucleico: possono replicarsi, esprimersi ed evolvere, mutare e adattarsi all’ambiente. Ogni genitore contribuisce a formare metà del corredo genetico dei figli, essendo il Dna della prole frutto del mescolamento di caratteristiche materne e paterne. Lungo il filamento possono avvenire, in maniera casuale ed improvvisa, dei cambiamenti ereditari del materiale genetico. Sono state queste mutazioni, ovvero le alterazioni nella sequenza, il marchio usato inizialmente dagli scienziati per tracciare gli spostamenti e per dividere la popolazione mondiale in gruppi di provenienza. Come spesso accade, nell’errore c’è la chiave della comprensione. «Ad oggi non si esaminano più solo alcune parti di Dna, ma si sequenzia l’intero genoma – spiega Rasmus Nielsen, professore del dipartimento di Biologia integrata all’università della California, Berkeley – Questo consente di avere maggiori informazioni sulle origini e sui movimenti dei nostri antenati». Grazie al Dna si è potuta ricostruire la storia dell’uomo moderno, fatta di migrazioni e differenze in grado di superare ogni confine e iniziata circa duecentomila anni fa in Africa, quando l’Homo Sapiens conviveva con quello di Neanderthal. «Medioriente e Sudest asiatico le prime regioni a essere toccate, rispettivamente circa sessantamila e cinquantamila anni fa, dopo aver lasciato il continente africano – continua il professor Nielsen – È stato poi il turno dell’Australia, della Nuova Guinea e delle isole del Pacifico. Un’associazione di luoghi ancora da verificare e che può sembrare strana se non si considera la conformazione delle terre emerse durante quel periodo. Dall’Asia la migrazione interessò l’Europa. L’America fu invece l’ultima a essere raggiunta, fra i quattordicimila e ventimila anni fa, probabilmente grazie a un ponte di terra, lo stretto di Bering, che univa Alaska e Siberia durante le ere glaciali del Pleistocene». Il colore della pelle, le forme del corpo, i tratti somatici sono adattamenti genetici posteriori alla comune origine. Se da una parte il Dna fornisce informazioni sui legami e gli spostamenti dei popoli antichi, sono gli studi archeologici a dettagliare i luoghi e le rotte intraprese dall’Homo Sapiens. In questo campo rimangono degli interrogativi sulla direzione dei flussi e gli scambi genetici avvenuti successivamente, quando l’agricoltura fece la sua comparsa. Nuovi capitoli da scrivere che aiuteranno a capire meglio l’innata propensione alle migrazioni dell’uomo.

Iscriviti ora a

per ricevere le newsletter

Articoli correlati

SEGUICI SUI SOCIAL

GLI ULTIMI ARTICOLI

Gli ultimi articoli