venerdì 29 Marzo 2024

Giulio, la verità è ancora lontana

Giulio Regeni

La verità sul caso Regeni continua ad essere lontana mentre aumentano le schermaglie diplomatiche fra Italia ed Egitto. Ricordiamo che dopo il fallito incontro della scorsa settimana tra gli investigatori italiani e la delegazione egiziana – che si è rifiutata, “per non violare la privacy dei propri cittadini”, di fornire i tabulati telefonici relativi alle persone coinvolte nell’indagine, ma anche quelli della zona dove Giulio è stato sequestrato e di quella dove è stato ritrovato il suo cadavere – oggi è stata annunciata una nuova richiesta di rogatoria. Lo scontro fra i due paesi diventa sempre più acceso. Venerdì l’Italia ha richiamato in patria, per consultazioni, il proprio ambasciatore al Cairo. Gli egiziani, dal canto loro, sostengono che gli italiani vogliono “politicizzare” il caso e, attraverso alcune televisioni, lanciano accuse al Belpaese ma, soprattutto, ai “traditori” che danno informazioni.

La Farnesina preannuncia limitazioni a scambi e turismo con l’Egitto e si appresta a sospendere alcuni accordi bilaterali nei settori della cultura, del turismo e dell’università che vedono ogni anno molti studenti italiani ed egiziani recarsi sull’altra sponda del Mediterraneo. Al contempo, però, si fa di tutto per non ledere, con l’azione diplomatica, gli importanti rapporti economici esistenti tra i due paesi (interscambi commerciali per cinque miliardi l’anno, 14 miliardi di appalti per la costruzione di opere pubbliche affidati ad aziende italiane, senza contare il maxi giacimento di gas dell’Eni a Zohr). D’altronde, se non scende in campo compatta l’Europa, appare assai difficile rompere gli accordi economici già in essere.

«Regeni è stato ucciso con evidenti segni di tortura − ha ricordato oggi la presidente della Camera, Laura Boldrini che chiede un intervento immediato dell’Ue − Quando un cittadino europeo viene trattato in questo modo, credo che l’Europa dei diritti debba ribadire tutta insieme la richiesta di verità su un caso come questo». Dichiarazione in sintonia con il governo, che starebbe facendo pressione oltre che sull’Ue anche su organismi internazionali, come l’Onu e la Banca Mondiale, affinché stigmatizzino l’atteggiamento del Cairo per le continue violazioni dei diritti umani.

Intanto, però, stamane sono state rese note le analisi dei posizionamenti delle cellule telefoniche dalle quali emergerebbe che il ricercatore italiano sarebbe stato preso il 25 gennaio in piazza Tahrir, zona controllata dal generale Shalaby, e non tra la sua abitazione e la metro di Dokky, come dichiarato all’inizio. L’identificazione della zona del sequestro è un dato fondamentale per la ricostruzione dei fatti, confermerebbe la tesi del depistaggio da parte degli investigatori egiziani, nonché le dichiarazioni rese dalla Sicurezza Nazionale del generale Shalaby stesso: la sera del 25 Gennaio in piazza Tahrir sarebbero stati arrestati 19 egiziani e uno straniero (poi divenuti due nei giorni successivi, un turco e uno di nazionalità indefinita). Shalaby è lo stesso uomo che ha dato varie versioni, tutte inattendibili circa la morte di Giulio, dall’incidente stradale al traffico di droga, al delitto maturato in ambienti gay alla rapina.

Intanto il comitato “Libertà e democrazia per l’Egitto” accusa Al Sisi di aver fatto sparire nel nulla almeno altri 50mila ragazzi egiziani che hanno fatto la stessa tragica fine del ricercatore friuliano, «Quello che è accaduto a Regeni, ha portato sotto gli occhi di tutti ciò che sta accadendo in Egitto − spiega Omar Jibril, vice presidente nazionale del comitato − chiediamo che la comunità internazionale intervenga con un embargo». 

 

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