Emissioni in calo ma serve di più

Index 2016 GermanwatchIeri è stato presentato a Parigi il rapporto annuale di Germanwatch sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia.

Il rapporto prende in considerazione la performance climatica di 58 paesi che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. La performance di ciascun paese è misurata attraverso il Climate Change Performance Index (Ccpi) e si basa per il 60% sulle sue emissioni (30% livello delle emissioni annue e 30% il trend nel corso degli anni), per il 20% sullo sviluppo delle rinnovabili (10%) e dell’efficienza energetica (10%) e per il restante 20% sulla sua politica climatica nazionale (10%) e internazionale (10%).

Anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, in quanto nessuno dei paesi ha raggiunto la necessaria performance per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici in corso e contribuire a mantenere le emissioni globali al di sotto della soglia critica dei 2°C.

La “top 10” della classifica – con l’eccezione del Marocco che conferma la positiva performance dello scorso anno posizionandosi al decimo posto – è occupata da paesi europei. In testa vi è ancora una volta la Danimarca, seguita da Regno Unito, Svezia, Belgio, Francia e Cipro. L’Italia fa un balzo in avanti passando dal 16° all’11° posto grazie alla considerevole riduzione delle emissioni (-16.1% nel 2013 rispetto al 1990) dovuta all’importante contributo delle rinnovabili (il nostro paese si classifica al 6° posto per il trend di sviluppo delle rinnovabili) e dell’efficienza energetica combinato con la perdurante stagnazione economica. Trend positivo nonostante l’assenza di una politica climatica nazionale a livello degli altri partner europei, che relega il nostro paese in fondo alla classifica specifica (51° posto) stilata dal rapporto per quanto riguarda le politiche nazionali per il clima.

La Germania continua a rimanere nelle retrovie, confermando il 22° posto dello scorso anno, dopo molti anni di leadership. Caduta dovuta alla considerevole quota di lignite nel mix energetico nazionale che non consente la necessaria riduzione delle emissioni indispensabile al raggiungimento dell’ambizioso obiettivo di riduzione entro il 2020 del 40% delle emissioni rispetto al 1990.

Vanno sottolineati, inoltre, i passi in avanti fatti da India, Stati Uniti e Cina, che grazie ai significativi investimenti nel settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica degli ultimi anni, risalgono il fondo della classifica e si posizionano rispettivamente al 25°, 34° e 47° posto.

Nel complesso il rapporto evidenzia un forte rallentamento della crescita delle emissioni globali di CO2, che ormai tendono a stabilizzarsi. Trend positivo dovuto al considerevole sviluppo delle rinnovabili, che nel 2014 hanno registrato il 59% della nuova potenza elettrica installata a livello globale superando, per la prima volta, la potenza combinata delle nuove installazioni di centrali fossili e nucleari. In ben 44 dei 58 paesi presi in considerazione dal rapporto si è registrata una crescita percentuale annua in doppia cifra.

Questi cambiamenti positivi vanno accelerati. L’accordo di Parigi deve avere al centro l’obiettivo globale di eliminare le emissioni da fonti fossili e raggiungere il 100% di rinnovabili entro il 2050. Solo così sarà possibile contenere l’aumento della temperatura ben al di sotto della soglia critica dei 2°C. Non vi sono barriere tecnologiche o economiche che possano ostacolare il raggiungimento del 100% di rinnovabili per tutti entro il 2050. Ritardare alla fine del secolo sarebbe troppo tardi per le molte comunità vulnerabili del pianeta che già devono difendersi dai mutamenti climatici in corso e dove il numero di poveri rischia di crescere ancora.

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