Primo Maggio triste in Egitto, dove, come in Italia durante il ventennio fascista, è consentito solo il sindacato di Stato e le manifestazioni dei lavoratori sono proibite. La polizia, dopo aver impedito a 650 delegati sindacali provenienti da tutte le regioni egiziane, di tenere presso il palazzo del sindacato dei giornalisti, una conferenza stampa sulle pessime condizioni in cui versano i lavoratori, nella notte, ha fatto irruzione, con 50 agenti in borghese, all’interno dell’edificio per arrestare due reporter che lavorano per il sito d’opposizione “Yanaer”. L’accusa: “Incitamento alla violazione della legge sulle manifestazioni”. Un episodio che, finalmente, sembra aver suscitato l’indignazione generale dell’intera categoria dei giornalisti che ha indetto un sit-in no stop a difesa della libertà di stampa. Il presidente del sindacato dei giornalisti, Yahia Galash ha lanciato un appello per chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno Magdy Abdel Ghafar. Per oggi, 3 maggio, Giornata mondiale della libertà di stampa, è stata convocata l’assemblea generale dei giornalisti, alla quale sono invitati anche editori, scrittori, blogger, intellettuali per rispondere in maniera unita alla repressione del governo. L’episodio sembra aver scosso anche il quotidiano governativo “Al Ahram” che ha dato notizia dell’accaduto.
Sono in tanti a sperare che questa reazione serva a far luce sulle innumerevoli violazioni dei diritti umani nel paese. Finora, infatti, era tabù anche parlare del fenomeno dei numerosi desaparecidos. Karem Yehya, giornalista egiziano fuggito in Francia, ha pubblicato sul magazine “OrientXXI” un’inchiesta secondo la quale, solo tra agosto e novembre 2015, sarebbero sparite 430 persone di varia provenienza, età, ed estrazione sociale, tra i quali numerosi giornalisti. Di alcuni scomparsi è stato rinvenuto il cadavere, sempre con evidenti segni di tortura, in circostanze analoghe a quelle del ritrovamento di Giulio Regeni. Un fenomeno, quello dei desaparecidos, che ha fatto la sua comparsa con l’arrivo del presidente Al Sisi. E dire che nel paese esiste persino un Consiglio nazionale per i diritti umani, un organo parastatale formato da rappresentanti della società civile, che si è limitato a dare ai familiari degli scomparsi la possibilità di compilare un modulo di denuncia della sparizione. Per i più, si tratta solo di un’operazione di facciata, perché il Consiglio, oltre a non aver prodotto alcun rapporto sulle sparizioni, è presieduto da un uomo politico legato all’establishment.
D’altra parte, l’Egitto non ha mai sottoscritto la Convenzione Onu sulle sparizioni forzate. Formalmente la legge prevede pene fino a tre anni per il reato di detenzione illegale, che di fatto non può essere applicata perché per il ministro dell’Interno non c’è mai stato alcun caso di sparizione forzata. Intanto, il professor Vittorio Fineschi ha consegnato la perizia medico legale effettuata sul cadavere di Giulio Regeni. Si tratta di 250 pagine di dati puntuali contro le 12 di constatazioni generiche della perizia cairota. Pagine che confermano che Giulio è stato torturato per cinque o sei giorni da professionisti. Grazie ad esami strumentali estremamente sofisticati, come Tac e risonanze magnetiche, emerge l’escalation di torture a cui Giulio è stato sottoposto. Ad ucciderlo è stata la rottura dell’osso del collo praticata dai suoi aguzzini quando gli stessi si sono resi conto che il ragazzo, ormai stremato, sarebbe morto. «Se qualcuno immaginava che il trascorrere del tempo avrebbe diminuito l’attenzione dell’Italia e costretto tutti a rassegnarci a un ritorno alla normalità delle relazioni – ha commentato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che ha aggiunto – per noi il ritorno alla normalità delle relazioni dipende da una collaborazione seria». Una collaborazione che fino ad oggi non c’è mai stata. Ma si possono ancora intrattenere rapporti con un governo che usa i metodi delle peggiori dittature?