A cinque anni da Fukushima

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Il quinto anniversario del più grave disastro nucleare della storia del Giappone è stato preceduto di qualche ora dalla chiusura di due reattori della centrale di Takahama – 350 km a ovest di Tokyo – disposta dalla Corte distrettuale di Otsu. Potrebbe sembrare soltanto una coincidenza simbolica, ma il provvedimento in realtà ha messo in luce tutte le contraddizioni e le incertezze del sistema politico giapponese sul tema della sicurezza nucleare: i reattori bloccati, infatti, erano stati rimessi in funzione soltanto da un paio di mesi, dopo aver superato i nuovi stringenti standard introdotti all’indomani della catastrofe di Fukushima dall’Autorità di regolamentazione nucleare (Nra), col pieno sostegno dell’esecutivo di Shinzo Abe.

«Tenendo in considerazione le attuali condizioni economiche e il cambiamento climatico, il nostro paese così povero di risorse non può permettersi di fare a meno della fonte nucleare per garantirsi un approvvigionamento regolare di energia», si è affrettato a ribadire il primo ministro nipponico commentando lo stop ordinato dalla Corte di Otsu. Fin dalla sua elezione, le priorità del governo Abe sono state sicurezza nazionale e ripresa economica, soprattutto attraverso il rilancio dell’energia atomica. Ma oggi, a cinque anni da Fukushima, le parole risolute del premier sembra siano sempre meno apprezzate dai giapponesi, come se fossero slegate dalla realtà, come se più di cinquanta reattori nucleari non fossero stati costruiti su uno dei territori più sismici del pianeta. Come se in quel pomeriggio dell’11 marzo 2011 non fosse accaduto nulla.

Quel venerdì, invece, alle 14.46 il nordest del Giappone fu colpito da un devastante terremoto di magnitudo 9.0 (il quarto più grande mai registrato dal 1900 a oggi), così potente da spostare di circa due metri e mezzo l’intera isola principale di Honshu verso gli Stati Uniti. Nei minuti successivi, la costa nordorientale della regione di Tohoku fu devastata dalle onde del conseguente tsunami: muri d’acqua alti più di 16 metri causarono la morte di circa 16mila persone. L’impianto nucleare di Fukushima Daiichi fu gravemente danneggiato e subì la fusione dei noccioli in tre reattori, con abbondante fuoriuscita di materiale radioattivo. I livelli di radiazioni superiori di 4.400 volte i limiti consentiti costrinsero le autorità a imporre una zona di evacuazione del raggio di una trentina di chilometri.

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Negli ultimi cinque anni sono stati compiuti grandi passi avanti nella ricostruzione delle infrastrutture nelle zone disastrate, ma il vero problema resta la radioattività all’interno della centrale di Fukushima, anche se ultimamente i tecnici della Tepco – la società che gestisce l’impianto – sono riusciti a far scendere in maniera sensibile i livelli delle radiazioni. Da un mese, inoltre, si sta lavorando alla realizzazione di una sorta di muro di ghiaccio interrato attorno ai reattori danneggiati, che nelle previsioni dovrebbe riuscire a congelare il suolo e a fermare così le fuoriuscite di acqua contaminata. La strada verso la completa bonifica è però lunghissima. «È piuttosto complicato affermare a che punto siamo arrivati con i lavori per la messa in sicurezza dell’impianto, è come aver raggiunto la prima di dieci tappe per raggiungere la cima di una montagna», ha recentemente affermato Akira Ono, il responsabile della centrale di Fukushima. Secondo gli esperti la situazione non sarà normalizzata prima di 30 o 40 anni.

Le conseguenze dirette del disastro del 2011 hanno polverizzato la fiducia dei giapponesi nei confronti della gestione dell’energia nucleare da parte del governo e dell’industria. Secondo l’ultimo sondaggio realizzato lo scorso febbraio dalla Nhk – la tv pubblica nipponica – il 22% degli intervistati è convinto che il paese debba abbandonare del tutto l’energia nucleare, mentre il 49% è parzialmente d’accordo con quest’affermazione. Soltanto per il 3% del campione, infine, le autorità dovrebbero continuare a costruire nuove centrali nucleari. La popolarità di Abe è al minimo storico, mentre il suo governo sta destinando importanti risorse economiche per l’organizzazione dei giochi olimpici del 2020: più di 1,2 miliardi di euro solamente per il nuovo stadio olimpico di Tokyo. A cinque anni da Fukushima.

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