Mezzo secolo fa. Dicembre 1965. Il ministro dei Lavori pubblici Giacomo Mancini, dopo anni di aspro confronto sul piano regolatore della Capitale, vince le resistenze del Campidoglio e vincola a parco pubblico, per l’alto valore archeologico e paesaggistico, l’intero comprensorio dell’Appia Antica, da Porta San Sebastiano ai confini del territorio comunale, creando le premesse per la nascita di un ininterrotto museo a cielo aperto della Roma antica, dalla Colonna Traiana ai Castelli romani.
Mezzo secolo dopo. Il grande parco archeologico di Roma è ancora un miraggio, i primi chilometri dell’Appia Antica continuano a essere ingolfati dal traffico privato che ha trasformato la Regina Viarum in arteria di scorrimento e molti veicoli e pullman turistici passano addirittura sopra i tratti in basolato del 300 a.C., tutta l’area rimane interessata da un pesante e talvolta lussuoso abusivismo edilizio, permangono attività produttive incompatibili con la vocazione storica, naturalistica e agricola dell’area, fa assai fatica a procedere l’attività di acquisizione al patrimonio pubblico di alcuni monumenti di pregio inglobati nel tempo all’interno di proprietà private.
Oltre mezzo secolo di attesa. Troppo. Quel progetto di unico parco archeologico capitolino – nato grazie all’intuizione e all’impegno di intellettuali e politici come Antonio Cederna, Italo Insolera, Leonardo Benevolo e dei sindaci Giulio Carlo Argan e Luigi Petroselli – superava la vecchia concezione del monumento antico confinato in uno spazio chiuso e immaginava che i resti della Roma antica potessero diventare il principio regolatore dell’intero sistema urbano, in un inedito intreccio di archeologia e urbanistica. La sfida della modernità, oggi, non può che essere quella di dare – subito e concretamente – vita e dignità al Parco dell’Appia Antica, coi suoi ruderi, i suoi mausolei, i suoi acquedotti e le sue ville patrizie, con le sue catacombe e il suo paesaggio. Che è stato per secoli (e malgrado tutto lo è ancora) un punto di riferimento obbligato per la cultura del mondo, quando viaggiatori, artisti, poeti e storici venivano qui a meditare sui fini ultimi delle cose, sulla “varietà della fortuna e l’invidia del tempo”.
*Alberto Fiorillo, responsabile aree urbani di Legambiente: