2016, record di uccisioni tra gli ambientalisti

Dovrebbe far riflettere l’ultimo rapporto di Global Witness, l’ong internazionale che dal 2004 tiene la triste “contabilità” mondiale degli ecoattivisti rimasti vittime delle loro battaglie. Numeri che in questi anni non hanno mai smesso di crescere. Nel 2016 sono morti ammazzati duecento ambientalisti, con una media di quattro a settimana (erano 185 l’anno precedente). E sono già 98 quelli uccisi nel 2017. Senza dimenticare, come la stessa organizzazione non governativa sottolinea nel suo report, che le morti di cui si ha notizia sono la punta dell’iceberg: “Per ogni omicidio che riusciamo a documentare ce n’è qualcun altro nascosto. Purtroppo i nostri dati sono sottostimati. Molti sono avvenuti in villaggi isolati e immersi nelle foreste, per cui è altamente probabile che i morti siano di più”. Che abbiano lottato contro miniere, dighe, centrali, progetti di agrobusiness o resort turistici, le esecuzioni di stampo mafioso – perché di questo si tratta – hanno una caratteristica in comune: un tasso di impunità altissimo, che supera il 90% dei casi.

L’area nera è l’America Latina, con più del 60% degli omicidi. In cima alla lista dei Paesi più colpiti resta il Brasile con ben 49 delitti. Seguono Colombia, Filippine, India, Honduras, Nicaragua, Congo, Bangladesh. Ma il sangue degli ambientalisti non ha risparmiato l’Europa. In Irlanda Michael McCoy è stato picchiato a morte con una mazza da baseball. La sua colpa? Battersi contro un progetto di speculazione edilizia sulle colline di Dublino. Il fatto, come ha dichiarato l’inviato speciale dell’Onu per i diritti umani e l’ambiente, John Knox, è che “la cultura dell’impunità sta avendo il sopravvento, e questo crea le condizioni per cui la distruzione dell’ambiente a fini economici sta divenendo qualcosa di difficilmente arrestabile”. Soprattutto perché “le vittime di queste politiche sono già fuori della sfera di azione della politica come della giustizia, marginalizzate rispetto allo stato di diritto”. E chi li difende, persino nel mondo più “avanzato”, rischia di essere eliminato nel silenzio generale.

Global Witness nel suo rapporto chiama gli ecoattivisti Defenders of the earth, difensori della Terra. Noi, nella storia di copertina dello scorso maggio, li abbiamo ribattezzati “Eroi dell’ambiente”, scegliendo per la foto di copertina il volto di Berta Càceres. Quello più noto alle nostre latitudini, come fu per Chico Mendes alla fine degli anni Ottanta. Scrivevamo qualche mese fa, e i fatti ci hanno dato purtroppo ragione, che il trend degli ambientalisti morti ammazzati era in crescita. Oggi non ci resta che continuare a denunciare, con più forza ancora, questo fenomeno. Il rischio è perdere di vista, come ha scritto nel suo editoriale il direttore Enrico Fontana, “i luoghi e le popolazioni che ancora vivono in una sorta di nuovo Medioevo del Capitalismo”. Dove alla schiavitù si è sostituito il cosiddetto land grabbing, il furto delle terre. E il furto di un futuro che è anche il nostro, se è vero che nella gran parte dei casi si tratta di ecosistemi preservati da secoli dai popoli indigeni. In Amazzonia, per capirci, il tasso di deforestazione nelle terre comuni è meno di un decimo rispetto al resto della regione. Un esempio virtuoso di gestione e salvaguardia dell’ambiente, cruciale anche nella lotta ai cambiamenti climatici.

 

 

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